
Raccontare il cambiamento climatico: come gli studi umanistici influenzano la narrativa globale
La letteratura è lo specchio più potente della coscienza umana, un medium capace di abbracciare le sfide più complesse del nostro tempo. Tra questi temi cruciali spicca il cambiamento climatico, una questione che ha progressivamente conquistato le pagine dei libri, trasformando la narrazione in uno strumento di consapevolezza collettiva.
Nato inizialmente nei generi fantascientifici e distopici, il racconto del cambiamento climatico ha oggi una sua identità letteraria autonoma: la cli-fi (climate change-fiction). Questo genere non è semplicemente un filone narrativo, ma un vero e proprio ponte comunicativo tra la complessità scientifica e l’esperienza emotiva dei lettori.
Che si manifesti attraverso romanzi, racconti o poesie, la narrazione del cambiamento climatico assume un ruolo fondamentale: non più solo una descrizione di scenari possibili, ma un invito all’azione, una sollecitazione a comprendere la fragilità del nostro ecosistema e la responsabilità individuale e collettiva nel preservarlo.
Il cambiamento climatico nella letteratura del Novecento
Nel corso del Novecento, alcuni scrittori illuminati hanno anticipato con straordinaria lungimiranza le minacce ambientali che avrebbero caratterizzato i decenni successivi. Attraverso romanzi e racconti, questi autori hanno posto l’attenzione sulle conseguenze potenzialmente catastrofiche dell’incuria umana verso l’ambiente.
Voci profetiche di un futuro a rischio
Jean Giono, con il suo toccante racconto L’uomo che piantava gli alberi, propone una visione di speranza e responsabilità individuale. Il protagonista, un umile pastore, diventa simbolo di rigenerazione ambientale, piantando alberi per restituire vita a un territorio desertico, dimostrando come le azioni di un singolo possano trasformare positivamente il paesaggio.
Invece Nevil Shute nel romanzo L’ultima spiaggia offre invece uno scenario apocalittico, denunciando le conseguenze devastanti delle armi nucleari e dell’incoscienza umana. La sua narrazione mette in luce come l’essere umano rischi di condannare intere specie, inclusa la propria, attraverso azioni distruttive e miopi.
Denuncia e critica sociale
Italo Calvino, con La nuvola di smog, analizza l’inquinamento industriale e l’indifferenza collettiva. Il racconto descrive un protagonista consapevole circondato da una società che accetta passivamente il degrado ambientale, evidenziando come l’apatia sociale sia essa stessa un pericoloso nemico dell’ambiente.
James Graham Ballard nel Mondo sommerso immagina un futuro dove il riscaldamento globale ha causato lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento dei mari. Il suo romanzo di fantascienza distopica serve come monito scientifico e artistico sui potenziali scenari catastrofici del cambiamento climatico.
Attivismo e consapevolezza
Luis Sepúlveda, infine, con Il mondo alla fine del mondo, porta l’attenzione sulla distruzione degli ecosistemi marini. Attraverso la storia di un giornalista e di un volontario di Greenpeace, denuncia le pratiche di caccia illegali, rappresentando la voce della natura contro le aggressioni umane.
Narrativa ecologica e ambiente nelle climate fiction contemporanee
La letteratura contemporanea ha sviluppato un genere sempre più significativo che esplora le conseguenze ambientali attraverso la narrativa speculativa: la cli-fi (climate fiction), un movimento letterario che trasforma le preoccupazioni ecologiche in storie coinvolgenti e profetiche.
Il genere muove i primi passi con Heat di Arthur Herzog (1977), un romanzo che anticipa con sorprendente precisione l’emergenza riscaldamento globale. Gli scienziati protagonisti si confrontano con l’aumento incontrollabile di anidride carbonica, prefigurando le sfide ambientali attuali.
Diversi autori hanno esplorato scenari distopici dove l’ambiente è radicalmente trasformato. George Turner in The Sea and the Summer (1987) immagina un ventunesimo secolo devastato dall’innalzamento dei mari, mentre Maggie Gee con The Ice People (1998) descrive una Gran Bretagna oscillante tra riscaldamento globale e una nuova era glaciale.
La trilogia MaddAddam di Margaret Atwood rappresenta probabilmente l’apice di questa tendenza. Oryx e Crake, The Year of the Flood e MaddAddam offrono una visione apocalittica che intreccia cambiamenti climatici, ingegneria genetica e trasformazione sociale.
Autori come Amitav Ghosh in The Hungry Tide ampliano lo sguardo, analizzando il rapporto tra ecosistema e politica attraverso storie ambientate in contesti geografici specifici, come l’arcipelago delle Sundarbans. Ian McEwan in Solar usa la satira per affrontare il cambiamento climatico, mentre Richard Powers con The Overstory, vincitore del Premio Pulitzer, esplora il legame uomo-natura attraverso una struttura narrativa che ricorda la crescita di un albero.
Anche la letteratura italiana inizia a esplorare questi temi. Bruno Arpaia in Qualcosa, là fuori immagina un’Italia desertificata dove migliaia di persone cercano salvezza verso nord. Gianni Tetti con Mette pioggia descrive una Sardegna arida dove i cambiamenti climatici generano conseguenze inaspettate.
In questo panorama letterario complesso e articolato, un percorso di laurea in discipline umanistiche non solo offre gli strumenti critici per analizzare e comprendere questi nuovi linguaggi narrativi, ma prepara professionisti capaci di interpretare e comunicare le sfide ambientali contemporanee. Gli studi umanistici diventano così un ponte essenziale tra la creatività letteraria, l’analisi critica e l’impegno sociale, fornendo competenze trasversali fondamentali per leggere e raccontare i cambiamenti del nostro tempo.
Il ruolo della filosofia nel cambiamento climatico
L’importanza della filosofia per affrontare le sfide ambientali emerge con sempre maggiore chiarezza. La filosofia si configura oggi come un strumento interpretativo cruciale per comprendere la complessità del cambiamento climatico, offrendo prospettive profonde che vanno oltre la mera analisi scientifica.
Lungi dall’essere un mero esercizio intellettuale, la riflessione filosofica diventa un ponte strategico tra conoscenza teorica e azione concreta, capace di illuminare le dimensioni più sottili e intricate delle nostre sfide ecologiche contemporanee.
La fiducia nella conoscenza scientifica
Un primo fondamentale aspetto filosofico riguarda la credibilità della conoscenza empirica. Mentre storicamente alcune correnti filosofiche hanno considerato le scienze provvisorie e fragili, oggi prevale una prospettiva che conferisce legittimità epistemologica alle ricerche sul clima. Governi e organizzazioni internazionali trattano ormai il cambiamento climatico come un fatto certo e indiscutibile, superando le diffidenze epistemologiche del passato.
La ricerca delle cause
La filosofia della scienza solleva una seconda questione fondamentale: l’origine del cambiamento climatico. L’indagine filosofica non si limita a descrivere, ma cerca di comprendere le radici causali del fenomeno. Lo sviluppo tecnologico degli ultimi secoli emerge come principale fattore scatenante, avendo provocato trasformazioni planetarie profonde. La discussione filosofica diventa così uno stimolo alla ricerca, incentivando l’approfondimento scientifico e la comunicazione pubblica dei risultati.
Dimensione etica e responsabilità
Il terzo aspetto filosofico più rilevante riguarda la riscoperta dei concetti etici di bene e male. Il cambiamento climatico diventa una cartina di tornasole morale, permettendo di riaffermare concetti di responsabilità in un’era caratterizzata dal relativismo. L’accusa alla responsabilità umana nei confronti del pianeta rappresenta un ritorno a una dimensione etica che supera l’indifferenza, promuovendo azioni concrete e consapevoli.
La filosofia non si limita a interpretare, ma diventa strumento attivo di comprensione e trasformazione. Attraverso l’analisi epistemologica, causale ed etica, offre una chiave di lettura multidimensionale del cambiamento climatico.
Vantaggi e limiti dello storytelling per affrontare la crisi climatica
Lo storytelling rappresenta oggi uno strumento strategico fondamentale per superare l’immobilità sociale di fronte all’emergenza climatica. Nonostante l’evidenza scientifica ormai consolidata, persistono scetticismo e apatia, sintomi eloquenti di una comunicazione che ha fallito nel coinvolgere emotivamente le persone e nel tradurre i dati scientifici in narrazioni comprensibili e toccanti.
La comunicazione scientifica tradizionale commette un errore epistemologico fondamentale: credere che i fatti oggettivi siano sufficienti a provocare un cambiamento comportamentale. In realtà, gli esseri umani interpretano le informazioni attraverso filtri emotivi personali, rendendo l’approccio puramente razionale estremamente inefficace.
Ogni singola informazione viene filtrata attraverso una complessa rete di percezioni individuali, convinzioni pregresse e meccanismi psicologici che condizionano profondamente la ricezione e l’elaborazione dei contenuti. Ne consegue che la semplice trasmissione di dati scientifici non solo non genera consapevolezza, ma può addirittura provocare effetti opposti di rimozione o negazione.
La Construal Level Theory offre una chiave interpretativa illuminante per comprendere perché il cambiamento climatico viene percepito come un problema astratto e lontano. Questa teoria individua quattro dimensioni cruciali che determinano la distanza psicologica di un fenomeno: la distanza temporale, che riguarda un futuro percepito come remoto; la distanza sociale, che coinvolge realtà e persone apparentemente estranee; la distanza geografica, che interessa altri luoghi e contesti; la distanza di incertezza, ovvero la percezione che l’evento potrebbe non accadere affatto.
Tali dimensioni contribuiscono a creare una sorta di schermo emotivo che impedisce una piena comprensione dell’emergenza climatica, trasformandola in un concetto astratto invece che in una minaccia concreta e immediata.
Lo scrittore indiano Amitav Ghosh offre una lettura profonda e provocatoria della crisi narrativa sul cambiamento climatico. Secondo la sua analisi, gli scrittori occidentali faticano significativamente a integrare questo tema cruciale nei loro racconti, relegandolo quasi esclusivamente alla saggistica specialistica o ai generi marginali come la fantascienza.
Ghosh introduce il concetto di “Grande Cecità“, un monito alle generazioni attuali che rischiano di diventare complici di un racconto che nasconde invece di rivelare la realtà dei cambiamenti climatici. La letteratura, secondo questa prospettiva, ha la responsabilità di immaginare e prefigurare scenari, non solo di descriverli.
Per superare questi limiti comunicativi, occorre elaborare approcci narrativi più complessi e articolati. È necessario costruire narrazioni transdisciplinari che oltrepassino i confini ristretti delle discipline scientifiche, aprendo il dialogo a prospettive diverse e superando la rigida separazione tra fatti oggettivi e valutazioni soggettive.
Lo storytelling efficace deve saper coinvolgere comunità aperte, non limitandosi al ristretto mondo degli esperti. Deve tradurre la complessità scientifica in storie capaci di generare empatia, comprensione e, soprattutto, motivazione all’azione.
Lo storytelling sul cambiamento climatico non è dunque solo uno strumento comunicativo, ma un ponte culturale che può trasformare la consapevolezza scientifica in impegno collettivo. La sua efficacia risiede nella capacità di connettere dimensioni razionali ed emotive, di rendere prossimo ciò che appare lontano, di tradurre la complessità in narrazione accessibile.
L’obiettivo finale è generare quella che potremmo definire una coscienza ecologica condivisa, capace di superare le barriere della rimozione e dell’indifferenza, e di motivare azioni concrete per la trasformazione dei nostri modelli di vita e relazione con l’ambiente.
Lo storytelling sul cambiamento climatico si configura non solo come uno strumento comunicativo, ma come un ponte culturale strategico che richiede competenze multidisciplinari avanzate. In questo contesto, la Laurea in Diffusione della Conoscenza, formulata da Unicusano, offre un profilo professionale unico e particolarmente qualificato per affrontare le sfide comunicative contemporanee.
Un laureato in questo corso di studi dispone di un bagaglio culturale critico e solido che trasforma la comunicazione in un’arte complessa e strategica. La padronanza delle lingue italiana e inglese, unite a elevate competenze digitali, consente di interpretare e tradurre i linguaggi scientifici più complessi in narrazioni accessibili e coinvolgenti.
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