La nuova infografica di Unicusano sulle abitudini e i disturbi alimentari degli italiani analizza la situazione clinica in cui versa la popolazione e fornisce una fotografia per le aspettative future
Circa 3 milioni. È questo il numero impressionante delle persone affette da disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DNA) in Italia nel 2023. A preoccupare gli esperti, tuttavia, non è tanto il totale dei pazienti (ricoverati e non), quanto la fascia di età a cui questi appartengono. A patire le conseguenze di questi disturbi egosintonici, infatti, sono perlopiù bambini e adolescenti ancora in età pre-puberale.
Se disturbi come l’anoressia e la bulimia portano erroneamente il primato di un malessere tutto al femminile, tuttavia, sono i dati a stravolgere questa credenza popolare: a soffrire di queste malattie disfunzionali della nutrizione sono soprattutto i maschi fino ai 14 anni, il cui tasso di ricovero – solo tra il 2014 e il 2018 – è aumentato del +110%.
Ed è proprio parlando in termini percentuali che si può capire la portata di un fenomeno che ha toccato il suo picco di aumento dei casi durante la Pandemia (e che, secondo gli esperti, si trascinerà almeno fino al 2024). Se nell’ormai lontano 2000, infatti, i casi conclamati di DNA in Italia si aggiravano intorno ai 300mila, 23 anni dopo – dopo l’avvento e l’utilizzo massivo dei social, dopo il rafforzamento dello stereotipo della figura della donna, dopo la trasformazione sempre più conclamata della società in una società di performance – la percentuale di nuovi casi è salita al +113%, marchiando lo stesso fenomeno con un numero forte e difficilmente superabile: +900%.
Dall’anoressia nervosa al binge eating (abbuffate di cibo incontrollabili senza pratiche di compenso), passando per la bulimia nervosa e l’obesità grave. Ogni patologia riscontrata si porta dietro disagi psicologici e psichiatrici che si traducono in disturbi dell’umore, disturbi ossessivo compulsivi e disturbi della personalità borderline, portando a popolare, in Italia, reparti come Psichiatria, Recupero e Riabilitazione funzionale e Medicina Generale.
Ma non solo: tra i primi 5 reparti che ospitano persone affette da DNA vi sono Pediatria e Neuropsichiatria infantile, a sottolineare la crescente tendenza dei giovanissimi a cadere nella trappola dei disturbi della nutrizione e del comportamento alimentare.
Disturbi che sembrano più presenti nel Centro-Nord Italia (65,7% dei casi), con in testa la Lombardia, la Toscana e il Piemonte, città dove il cliché di modelle e modelli da passerella si mangia a colazione.
Secondo i dati raccolti, anche per ciò che riguarda la nutrizione il fattore 0 sembra essere l’industrializzazione. Mentre i paesi poveri dell’Asia, dell’Africa e del Sudamerica non sembrano essere toccati da questo fenomeno, infatti, l’Occidente si aggiudica il primato per casi ogni 100mila persone, a confermare come questi disturbi siano culture bound syndromes (determinati dalla cultura di ogni Paese).
Se i fattori di rischio sono quelli più conosciuti, come i fattori individuali (età, personalità, genere), famigliari (dipendenze o disturbi dell’umore in famiglia, vischiosità affettiva, abusi, eccessiva attenzione al giudizio altrui) e socio-culturali (l’immagine della donna forte e di successo come una donna magra e in forma), diete e decontestualizzazione del cibo (tendenza a vedere il cibo come pericoloso o velenoso perché non senza glutine, grassi, conservanti, coloranti ecc.) aggiungono il carico da 90 a menti spesso più sensibili.
È solo il 30% delle persone, infatti, a seguire un’alimentazione veramente salutare. Spaventano invece il consumo spropositato di zuccheri semplici e grassi saturi (raddoppiati), di formaggi, latte e dolci e di carne, a discapito di cereali e carboidrati.
Ad entrare in gioco, poi, è anche il fattore ambientale che cerca riparo nei nuovi trend nutrizionali: carne coltivata (è questo il termine corretto per definire la carne “sintetica”), farine proteiche da fonte animale (grilli o locuste), soluzioni plant-based e regenerative food. Tutte soluzioni discusse che preoccupano Coldiretti tanto quanto i contadini di New York, ma che potrebbero comportare una serie di vantaggi sia a livello nutritivo (e dunque salutare), sia a livello climatico-ambientale.