La nuova infografica di Unicusano su Job creeping, quiet quitting e nomadismo digitale analizza la situazione psico-professionale dei giovani italiani, portando alla luce nuove modalità di lavoro
Gli esperti l’hanno chiamata Great Resignation. Arriva dall’America ma non ha perso tempo a farsi strada tra le scrivanie degli italiani. Arriva 3 anni dopo la Pandemia e si auto-alimenta grazie ai burnout di impiegati e lavoratori.
“Grandi dimissioni”, così si traduce letteralmente il fenomeno che, negli ultimi 12 mesi, ha spinto milioni di persone in Italia e nel resto del mondo ad abbandonare il lavoro in cerca di una stabilità emotiva migliore.
Sì, perché di questo si tratta: il 46% degli italiani (di cui il 77% under 27) presenta le dimissioni anche senza avere un piano B (3%), e lo fa perché in cerca di migliori condizioni economiche, una maggiore flessibilità nell’organizzazione dell’orario di lavoro o la necessità di perseguire propri interessi personali.
A primeggiare tra le motivazioni che spingono alla grande fuga, però, è il bisogno di trovare, in una società dove il prefisso “IPER” (iper-competitivo, iper-veloce, iper-digitalizzato) sembra aver ingranato la marcia senza possibilità di resa, un equilibrio tra vita e lavoro.
Lo stesso equilibrio che è mancato al 42% della popolazione che, almeno una volta nel corso degli ultimi 12 mesi, si è dovuto assentare dal posto di lavoro a causa di malesseri psicologici.
Lo stesso equilibrio che manca, oggi, al 93% degli italiani, che si dichiarano professionalmente infelici.
Sono Job Creeper o Quiet Quitter. Da un lato danno la vita (privata) per il proprio lavoro, lavorando – più del dovuto, oltre le ore stabilite nel contratto – a discapito degli affetti e di altri interessi, senza (quasi) mai ricevere nulla in cambio (6%), dall’altro si lasciano “svuotare” dal ruolo che ricoprono in azienda, rivolgendo a quest’ultima e alle mansioni da svolgere il minimo delle energie necessarie a sopravvivere e garantirsi uno stipendio, svuotati di qualsiasi interesse e privi di coinvolgimento emotivo.
Tra i 24 e i 35 anni (43,2%), ad alimentare il fenomeno della Great Resignation è la Flow Generation, giovani – loro malgrado – dal futuro incerto, lontani dal concetto di “ lavoro a tempo indeterminato”, in balìa delle più nuove professioni e con un’identità mutevole a seconda delle esigenze e delle sfide del futuro digitalizzato.
Figli della crisi del 2008 e di chi spendeva più di quanto non possedesse, hanno trovato nel nomadismo digitale la loro forma più pura di espressione.
La Pandemia ha tolto tempo ma ha regalato tempo, e questo i nuovi nomadi digitali lo sanno bene. Loro che, con le unghie e con i denti, soprattutto in questi ultimi 3 anni hanno rivendicato spazio e tempo. Per la vita, le passioni, i talenti, le aspirazioni, gli affetti, la libertà di scelta, l’autorealizzazione. E dello spazio, del tempo e del movimento hanno fatto il loro scopo primario, ispirando nuove forme identitarie e professionali, prive di confini fisici e mentali.
Lavorano da remoto, lavorano da qualsiasi parte del mondo e, nell’85% dei casi, lo fanno con il sorriso.
Rappresentano la risposta ad una precarietà auto-imposta, una sfida che i reparti HR devono saper cogliere per dare a tutti la possibilità di crescere puntando la lente di ingrandimento su ciò che realmente vale: le persone.