Storie di amore fraterno e riconoscenza, sotto canestro. Tornare a casa, a Riano, con l’UniCusano Basket. Un abbraccio al mio cuore di ragazzo studente e Juniores! Nel 1989 arrivai al 25° km. della Via Flaminia, passando per l’11° della Tiberina. Dal Centro Federale a Istanbul con Djordjevic Campione d’Europa. Passando per Settebagni, sede del Bancoroma che spostò la geografia tricolore e internazionale!
di MASSIMILIANO “MAX” CANNALIRE*
Succede, ogni tanti anni, di tornare a casa. Per me il Palasport di Riano Flaminio su Via Tiberina o andare in quello nuovo, costruito di sopra, al paese, è come tornare a casa: per rinverdire le ostiche partite contro il Basket Viterbo quando avevo poco meno dell’età per la maturità scolastica (Categoria Juniores). I tempi della grande squadra costruita da Eraldo Bocci, presidentissimo di grande umanità e grinta, ancora oggi, vivaddio!, che prese gente forte, per fare il doppio salto, dalla Serie D alla C1 dell’epoca passando per la C2 (oggi C Silver). In quel meraviglioso gruppo c’erano giocatori affermati, con il BancoRoma come nelle nazionali giovanili e non, di Pino Danzi, pivot, di quel matto e mattacchione del mio amico borgataro di Labaro – sempre bersagliato per la sua provenienza da Eraldone Bocci – che era ed è Massimone Panatta, che schiacciava in terzo tempo saltando dal tiro libero ben prima di un certo MJ (Michael Jeffrey Jordan, per i più giovani!). C’era Roberto Cerrino, talento puro alla pari di Kadir, andato via in Cielo troppo presto. Noi tre eravamo tutti partiti dalla Vis Nova, prima di passare da Settebagni dove è nata l’unica, irripetibile Virtus Roma che il mondo intero conquistò, di girare l’Europa e il globo terrestre appresso all’amore anzi AMORE, per la PALLACANESTRO.
Io ero già un giovanissimo enfant prodige delle radiocronache, iniziate a 16 anni ancora non finiti, e due anni dopo avrei conosciuto la città di Riano e la Pallacanestro Riano, e le sue persone: dirigenti, talenti puri come Gabriele De Luca, “Pancho”, che ebbe con altri compagni di squadra un bruttissimo incidente automobilistico al Ponte del Grillo capace di frantumargli il ginocchio e renderlo da buon playmaker di livello di Serie B (che in quel periodo era ben altra cosa…) a valido allenatore. Un tecnico capace di tirare su un settore giovanile e portare i giocatori in prima squadra, come di gestire i giocatori più esperti. Quella Riano era capace di giocare i play-off e vincerli, contro grandiose realtà cestistiche quali Scauri, tra le altre, con gare tiratissime, di andate e ritorno, che se non sempre arrivavano al supplementare accarezzavano la parità quasi sempre fino alla sirena di chiusura.
Sono passati quasi 30 anni, da quei giorni, quelle settimane, e dovrò sempre dire grazie a una mia seria, umile, educatissima e dolce (non le ho mai detto questa cosa…) compagna di scuola alle superiori dell’Istituto Professionale per il Commercio e Turismo “Nicola Garrone”, Raffaella Alegiani. Quando lei mi raccontò al telefono dell’incidente di Pancho e degli altri compagni di squadra ero in una cabina a Piazza San Silvestro e piansi a dirotto, preso in giro, per la mia eccessiva sensibilità sul trenino che partiva da Piazzale Flaminio per portarmi a Riano (di sopra, dove andiamo questa sera). Vedo che il mondo è cambiato poco, da questo punto di vista: le persone scherzavano 30 anni fa, sulla semplice umanità del prossimo, e lo fanno ancora, con la stessa, evitabile, schifosa disinvoltura.
Ma non sono cambiato nemmeno io. Che ho conosciuto e riconosciuto, e amato, Riano, quella della brava gente, in piazza al torneo estivo di Calcio a 5 da me arbitrato, grazie a questa splendida persona e compagna di studi per Operatori Turistici. Che ancora oggi avrà lo stesso fiero sorriso di sei lustri fa, residente vicino al vecchio campo della scuola. Che, mi dicono, è nuovo. Ecco, perché, sono felice di condividere con i ragazzi della UniCusano Basket, un momento di profonda emozione. Tornare a casa. Sarà bello, una volta di più, poter riabbracciare quel presidente anzi PRESIDENTE, che si avvelenava con gli arbitri prepotenti e (qualcuno) non capace, di dirigere partite di C2 e C2 e prim’ancora di Serie D. Quell’uomo meraviglioso che, nel 1989, mi salvò la vita, in riva alla Via Tiberina, per un attacco di angina mettendomi di corsa due Carvasin in bocca, di forza, e tanta. E mi fece comprendere, una volta di più, l’importanza di porre attenzione alla ricerca scientifica, alla prevenzione, alla salute. Che i ragazzi si giocano per uno stupido attaccarsi alla bottiglia, talvolta, o a qualche schifezza alcoolica. Pensando di essere più grandi della loro carta anagrafica. E invece li e le rivela più stupidi/e di quelli che alla SALUTE ci hanno saputo badare.
Di lì a poco avrei raccontato per una radio romana, non la prima, ma una particolare edizione della Coppa dei Campioni, nel 1992 al Pala Abdi Ipekci Spor Salonu di Istanbul, dove Alexandar “Sasha” Djordjevic, con un tiro (!!!) da metà campo, permise al Partizan Belgrado di vincere il più importante torneo d’Europa, con la Joventud Badalona dell’ex varesino Corny Thompson che, 33enne, piangeva consapevole che fosse una delle ultimissime monete, per tentare di vincere qualcosa di sostanzioso e storico.
Sono legato, alle passeggiate fatte dalla Via Flaminia alla Tiberina, a quella palestra-palazzo dello Sport che un tempo, oggi discretamente lontano, era un Centro Tecnico Federale sia per la Pallacanestro che per il Tennis. Ci combattevamo i quarti d’ora in meno e in più, con la squadra nazionale della racchetta, all’epoca composta da Claudio Panatta, il fratello, di Adriano, simbolo, dell’azzurro scendere a rete. Quando la gente della palla a spicchi veniva a vedere le nostre partite, sapeva di vedere della buona Pallacanestro.
Da Eraldo Bocci e la mia buona amica Raffaella a Giampaolo Bocci, Simona Bocci, e alle loro splendide famiglie. Il cuore è ancora lì. Sarà una serata particolare, per pochi intimi. Speciale, per me, diviso tra il mondo del Basket e quello del Calcio da raccontare. Ma in fondo sempre ragazzo animato da passione, grinta, tenacia, amore, per lo Sport. E una dote che va sempre portata, con ampie scorte, nel cuore, come in tasca. Più o meno suona così. Riconoscenza. Grazie, Riano. Grazie, Pallacanestro. Grazie, UniCusano. Obrigado.
*Responsabile della squadra di Pallacanestro dell’Università Niccolò Cusano.